Nascita
Giovanni Battista Montini nacque a Concesio, in provincia e diocesi di Brescia, il 26 settembre 1897 e venne battezzato nella pieve il 30 settembre 1897. Era il secondogenito di tre fratelli: Lodovico (1896-1990), anch’egli avvocato, antifascista, tra i fondatori delle Associazioni Cattoliche Lavoratori Italiani (ACLI), poi membro dell’Assemblea costituente, deputato e senatore; e Francesco (1900-1971), medico, dedito ad opere di carità. Una grande cerchia di parenti, amici, educatori, trasmise al giovane Battista una fede libera, forte e leale e un grande attaccamento alla Chiesa e al papato.
L’influsso dei genitori
Brescia viveva un momento di impareggiabile fervore nell’impegno educativo, sociale e religioso dei cattolici. Il padre, Giorgio, esponente di primo piano del cattolicesimo sociale e politico italiano, era impegnato attivamente a rompere l’isolamento in cui vennero a trovarsi i cattolici dopo la proclamazione di Roma a capitale d’Italia. Avvocato, creò le «Leghe bianche» nelle campagne bresciane, l’Unione del Lavoro e il pensionato scolastico. Nel 1881 fu chiamato a dirigere il quotidiano cattolico «Il Cittadino di Brescia», che guidò fino al 1911. Fu anche fondatore della Casa Editrice «La Scuola», impegnato in cariche pubbliche, presidente del Circolo della gioventù cattolica e dell’Unione elettorale cattolica, e, infine, deputato per tre legislature; aderì subito al Partito Popolare Italiano e ne fondò una sezione a Brescia; la sua casa era frequentata da personaggi come don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi.
La madre, Giuditta Alghisi, donna di spiccata pietà eucaristica e mariana, era impegnata nell’Azione Cattolica e dedita a molteplici opre di carità. Paolo VI dirà: «A mio padre devo gli esempi di coraggio, l’urgenza di non arrendersi supinamente al male, il giuramento di non preferire mai la vita alle ragioni della vita. Il suo insegnamento può riassumersi in una parola: essere un testimone. A mia madre devo il senso di raccoglimento, della vita interiore, della meditazione che è preghiera».
Un carattere sensibile e una spiccata spiritualità
Battista, come lo chiamavano in casa, maturò un carattere riservato e sensibile, ma cordiale e portato alle amicizie, in una famiglia concorde e gioiosa. Insieme ai fratelli e ai genitori frequentava il Santuario della Madonna delle Grazie. La mamma, con la nonna e la zia paterne, che vivevano in casa, erano particolarmente devote di san Francesco di Sales. Ricevette la Prima Comunione il 6 giugno 1907 e la Cresima quindici giorni dopo. Nello stesso anno, con i familiari, fu ricevuto in udienza privata da papa Pio X: fu il suo primo viaggio a Roma.
La sua giovinezza
Nel Collegio “Arici” fu prefetto della congregazione mariana e ricevette diversi premi per profitto, religione e condotta. Da bambino e fino all’ordinazione sacerdotale frequentò le opere giovanili dei padri filippini, presso la chiesa di S. Maria della Pace a Brescia, dove era catechista, legandosi in particolare ai padri Paolo Caresana e Giulio Bevilacqua, che saranno suoi confidenti e amici fino alla morte. Inoltre svolgeva apostolato nella parrocchia di S. Giovanni Evangelista e collaborava al periodico studentesco “La Fionda” e a diverse riviste cattoliche.
La vocazione al sacerdozio
La vocazione sacerdotale risale al periodo 1913-1916 e fu dovuta in particolare alla frequentazione del convento di S. Bernardino, dei benedettini, e ad alcuni ritiri spirituali nella casa filippina di Sant’Antonio, vicino Brescia, e nell’eremo lecchese di S. Genesio, dei camaldolesi, insieme ai suoi referenti spirituali, p. Caresana e il curato di Concesio, don Francesco Galloni.
A partire dall’ottobre 1916, Battista frequentò da esterno il Seminario bresciano, grazie ad una speciale dispensa del vescovo. Il 30 novembre 1919 ricevette la tonsura e il 29 maggio 1920 l’ordinazione nel Duomo di Brescia, dal vescovo monsignor Giacinto Gaggia. Il giorno seguente celebrò la sua Prima Messa nel Santuario della Madonna delle Grazie, manifestando il «trasporto e la continua vertigine di meraviglia di trovarmi segnato da Dio».
Gli studi
Trasferitosi a Roma, nel novembre 1920 entrò al Pontificio Seminario lombardo e si iscrisse alla facoltà di filosofia tomistica della Pontificia Università Gregoriana e, con uno speciale permesso del vescovo, alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università statale. Ma l’anno successivo – dopo un intervento di mons. Giuseppe Pizzardo, segretario di Stato – fu costretto a deviare il corso dei suoi studi, lasciò il Seminario ed entrò alla Pontificia Accademia ecclesiastica; si iscrisse al secondo anno di Diritto canonico presso la Pontificia Università Gregoriana e dovette interrompere il corso di laurea alla Sapienza. Nel 1922 si laureò in filosofia tomistica presso l’Accademia romana di San Tommaso d’Aquino e in diritto canonico presso la facoltà giuridica del Seminario di Milano; nel 1924 in diritto civile presso l’Università Lateranense. Accettò questo radicale cambio delle sue prospettive con umiltà, docile obbedienza ai superiori e amore alla Chiesa.
La vita romana nei primi anni di sacerdozio
Nel 1922 fu molto colpito dalla morte di Benedetto XV, che aveva conosciuto personalmente; il nuovo eletto, Pio XI, era amico della famiglia Montini. Nel 1923 fu addetto per quattro mesi alla segreteria del Nunzio di Polonia a Varsavia. Nell’ottobre 1924 entrò in Segreteria di Stato e sei mesi dopo divenne minutante. Visse il lavoro da «garzone d’ufficio» com impegno assoluto, mantenendo un’onorata povertà personale.
Compì diversi viaggi all’estero, in Francia, Belgio, Austria, Germania, Gran Bretagna, perfezionando la conoscenza delle lingue.
Assistente degli universitari cattolici
Al rientro da Varsavia, venne nominato assistente ecclesiastico del circolo romano della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), in un momento delicato della vita della federazione. Nel 1925 ne divenne assistente nazionale. Coltivò rapporti di amicizia e confidenza spirituale con decine di giovani, ai quali presentò il concetto di «carità intellettuale», approfondito alla luce della Parola di Dio. In questi anni girò l’Italia per promuovere l’attività della FUCI e tenere conferenze spirituali. Nel 1923-’24 ebbe anche un breve incarico come assistente degli scout del gruppo «Roma XXIII».
Era un periodo difficile, per la propensione del fascismo ad avere il controllo della gioventù: quella universitaria era inserita nel GUF (Gruppi Universitari Fascisti). Antifascista convinto, monsignor Montini operò dunque per raccogliere le migliori intelligenze cattoliche che si formavano nelle Università, così da indicare loro le future mete politiche e sociali; mentre educava questi studenti ad una fede cosciente e preparata, anche liturgicamente. Fra quei giovani c’erano nomi come Guido Gonella e Giovanni Battista Scaglia, in seguito ministri della Repubblica; Aldo Moro fu presidente centrale della FUCI, nella quale militavano Amintore Fanfani, Giulio Andreotti e altri futuri politici italiani.
Nel 1933 venne costretto a lasciare la FUCI, con suo grande rammarico.
Nuovi incarichi nella Curia romana
Intanto, nel 1925, nella Curia romana, don Montini ebbe il titolo di cameriere segreto soprannumerario, e divenne monsignore. Tra il 1930 e il 1937 insegnò storia della diplomazia pontificia presso l’Università Lateranense. Nel 1937, ad appena 40 anni, venne nominato Sostituto per gli Affari Ordinari. Si trovò così al cuore della diplomazia vaticana e coltivò rapporti con rappresentanti di tutto il mondo, cattolici e non.
In questi decenni di servizio diplomatico, cercò di curare il più possibile il ministero sacerdotale e di guida spirituale; svolse il ministero nella parrocchia del Vaticano, S. Anna, e nella chiesa di S. Pellegrino. Assistette spiritualmente diversi gruppi dell’Azione Cattolica e avviò interventi caritativi e di catechesi nelle borgate romane; fu attivo promotore delle Conferenze di San Vincenzo.
Collaboratore dei pontefici
In questi anni mons. Montini fu un fedele collaboratore di Pio XI e soprattutto del cardinal Eugenio Pacelli, dal 1930 Segretario di Stato e nel 1939 eletto Papa col nome di Pio XII: con lui collaborò quotidianamente per 24 anni. Durante la II guerra mondiale fu a capo dell’Ufficio informazioni del Vaticano per la ricerca dei soldati e dei civili prigionieri o dispersi.
Accompagnò Pio XII nella visita al quartiere romano di San Lorenzo e contribuì al famoso radiomessaggio pontificio all’inizio del conflitto con la nota frase: «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra». Organizzò l’Anno Santo del 1950. Appoggiò la fondazione delle ACLI e contribuì alla nascita del Centro Italiano Femminile e delle organizzazioni internazionali del laicato. In questi anni si fece portavoce dell’autorità morale della S. Sede a servizio della pace. Andò in Olanda, America e Canada.
Il 29 novembre 1952 fu nominato Pro-Segretario di Stato per gli Affari Ordinari, ma rimase un uomo modesto e sobrio, dedito alla carità e alla predicazione.
Arcivescovo di Milano
Il 1° novembre 1954 fu nominato arcivescovo di Milano e consacrato il 12 dicembre; succedeva al cardinal Alfredo Ildefonso Schuster (Beato dal 1996). Scelse il motto arcivescovile «In nomine Domini» (Nel nome del Signore).
Lasciò la Segreteria di Stato, dopo trent’anni, e fece l’ingresso ufficiale a Milano il 6 gennaio 1955. Nella diocesi di sant’Ambrogio, Montini trovò una situazione socio-politica in piena evoluzione, caratterizzata dalla ricostruzione civile e industriale post-bellica e dalla massiccia immigrazione dal Sud dell’Italia.
Nel discorso d’ingresso, presenti tutte le componenti della società milanese, egli si dichiarò «pastore e padre» mettendo al centro del suo ministero i poveri, i lavoratori e i “lontani”. Instaurò un dialogo con tutta la società milanese, unendo la difesa della tradizione cattolica ambrosiana con la necessità del suo rinnovamento, per rispondere adeguatamente al tempo attuale, all’«umanesimo buono della vita moderna». Perché «l’uomo moderno ha la fame e il possesso dei “mezzi”, non ha l’ansia dei “fini”».
Indisse la grande Missione di Milano, che aveva come tema «Dio Padre» e si svolse dal 5 al 24 novembre 1957; fu la più grande mai predicata nella Chiesa. L’arcivescovo vi svolse un ruolo di primo piano; portò l’annuncio in decine di sedi e incontrò diverse categorie professionali.
Creò nuovi istituti di formazione, nuovi uffici di curia ed ebbe una grande disponibilità all’ascolto di sacerdoti e laici. Indirizzò nove lettere pastorali alla diocesi. Definito «arcivescovo dei lavoratori», fu molto vicino alle vicissitudini del mondo del lavoro. Unì le forze vitali della città, dalle fasce imprenditoriali a quelle meno abbienti, per sostenere la costruzione di nuove chiese per i quartieri di periferia: ne concluse 123 e ne avviò molte altre. Condusse una moderna pastorale della cultura e dimostrò una forte attenzione ecumenica.
Cardinale
Nel Conclave che seguì la morte di Pio XII venne eletto il cardinal Angelo Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia, il quale assunse il nome di Giovanni XXIII. Nel suo primo Concistoro, il Papa creò cardinale monsignor Montini, primo della lista dei nuovi porporati; e il 15 dicembre 1958 gli impose la berretta cardinalizia e gli assegnò il titolo presbiterale dei Santi Silvestro e Martino ai Monti.
Il cardinal Montini compì due viaggi apostolici intercontinentali, nel 1960 negli Stati Uniti d’America e in Brasile e nel 1962 in Africa, in visita pastorale alle missioni in Rhodesia e Ghana, e in Sudafrica.
Partecipò attivamente ai lavori del concilio ecumenico vaticano ii, che definì «l’ora di Dio», e vi pronunciò due interventi sulla liturgia e sulla chiesa; ne favorì la ricezione anche nella diocesi ambrosiana, con sette «lettere dal Concilio».
Paolo VI e il Concilio
Giovanni XXIII morì il 3 giugno 1963. Nel successivo Conclave venne eletto, il 21 giugno 1963, il cardinal Montini, che assunse il nome di Paolo VI, prendendo il nome dell’Apostolo missionario.
Fu incoronato il 30 giugno 1963 e, in quell’occasione, annotò: «Forse il Signore mi ha chiamato e mi tiene a questo servizio non tanto perché io vi abbia qualche attitudine, o affinché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva».
Decise di continuare il Concilio Vaticano II, che chiamerà «il catechismo del nostro tempo», e riuscì a portarlo a termine, l’8 dicembre 1965, fra mille difficoltà e contrasti tra i Padri conciliari. Si lasciò guidare dalla fermezza della fede, dimostrò una grande capacità di mediazione, e con paziente tenacia e prudenza, mantenne unita la Chiesa e la traghettò verso il rinnovamento, nella fedeltà al Vangelo e alla tradizione.
Gli ultimi anni e la morte
I suoi ultimi anni furono segnati dalla decadenza fisica e dalla sofferenza per l’artrosi. Il Papa accentuò la lettura spirituale dei tempi, in un periodo che è stato definito mistico, per l’insistenza della preghiera allo Spirito Santo, considerato il motore della vita della Chiesa e del mondo. In un appunto scrisse: «Bisognerebbe essere ispirati da un Amore folle, cioè superiore alle misure della prudenza umana. Lirico, profetico, eroico, teso fino all’impossibile per poter compiere qualche cosa di possibile. Signore, perdonami d’ogni mediocrità, infiamma la tiepidezza, dammi l’audacia di sfidare i calcoli dell’insipienza per venire incontro all’infinità del tuo Amore. “Miserere mei, Domine”. Sono stanco e vecchio, ma “caritas numquam excidit”».
Il suo «Pensiero alla morte» e il «Testamento» sono ormai considerati un classico della spiritualità sull’argomento: «Prego pertanto il Signore che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l’ho amata; e che per essa, non per altro, mi pare d’aver vissuto».
Morì nella residenza pontificia di Castel Gandolfo la sera di domenica 6 agosto 1978, festa della Trasfigurazione, dopo aver ricevuto con grande desiderio il Viatico, mentre recitava la preghiera del Padre Nostro. I funerali, per sua precisa disposizione, furono, per la prima volta nella storia dei papi, molto semplici, con il Vangelo a ricoprire la bara appoggiata in terra. Venne sepolto nelle Grotte Vaticane.
Tutt’altro che Papa fragile, tormentato e dubbioso, Paolo VI è stato un esempio di fortezza e umiltà nella costruzione della Chiesa conciliare, con un indomito amore per il mondo e per l’uomo.
Autore: Emilia Flocchini e Giselda Adornato
da santiebeati.it