“La prima è la condivisione. La ricchezza, da una parte, aiuta molto nella vita; ma è anche vero che spesso la complica: non solo perché può diventare un idolo e un padrone spietato che si prende giorno dopo giorno tutta la vita. La complica anche perché la ricchezza chiama a responsabilità: una volta che possiedo dei beni, su di me grava la responsabilità di farli fruttare, di non disperderli, di usarli per il bene comune. Poi la ricchezza crea attorno a sé invidia, maldicenza, non di rado violenza e cattiveria. Gesù ci dice che è molto difficile per un ricco entrare nel Regno di Dio. Difficile, si, ma non impossibile (cfr Mt 19,26). E infatti sappiamo di persone benestanti che facevano parte della prima comunità di Gesù, ad esempio Zaccheo di Gerico, Giuseppe di Arimatea, o alcune donne che sostenevano gli apostoli con i loro beni. Nelle prime comunità esistevano donne e uomini non poveri; e nella Chiesa ci sono sempre state persone benestanti che hanno seguito il Vangelo in modo esemplare: tra questi anche imprenditori, banchieri, economisti, come ad esempio i Beati Giuseppe Toniolo e Giuseppe Tovini. Per entrare nel Regno dei cieli, non a tutti è chiesto di spogliarsi come il mercante Francesco d’Assisi; ad alcuni che possiedono ricchezze è chiesto di condividerle. La condivisione è un altro nome della povertà evangelica. E infatti l’altra grande immagine economica che troviamo nel Nuovo Testamento è la comunione dei beni narrata dagli Atti degli Apostoli: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola […], fra loro tutto era comune […]. Nessuno tra loro era bisognoso» (4,32-34).”
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